Parlare “furlan” è un fiume di sprechi

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    Friuli, si spendono milioni di euro per tradurre Brecht o realizzare il T9 per sms in “marilenghe”

    Per l’italiano bastano le “news”, per le lingue minoritarie è d’obbligo parlare di “nachrichten”, “novice” e “gnovis” in “lenghe furlane”. Il sito della Regione Friuli Venezia Giulia è una palestra di multiculturalismo, che in italiano, tedesco, sloveno e “marilenghe” - la madrelingua friulana - stordisce la mente con dosi massicce di apertura globale e rinculo locale. Un esempio per tutti. Ma in quest’estate di polemiche identitarie tanta abbondanza diventa un modello soprattutto per chi vuole erodere la distinzione tra lingue e parlate, e, come il ministro Luca Zaia, ribadisce che il veneto va insegnato nelle scuole, o, come il collega Calderoli, chiede test di dialetto per gli insegnanti. Dove passa il confine tra tutela e ridicolo? Come dobbiamo immaginarci una Padania libera dal “giogo” dell’italiano?

    Io donna è andata in Friuli, dove da dieci anni la parlata locale è riconosciuta dalla legge 482 che tutela le “minoranze linguistiche storiche”, ma dove negli ultimi tempi l’orgoglio delle radici ha virato verso un’escalation localista a suon di finanziamenti: tipo la traduzione di Mari Courage e i siei fîs di Bertolt Brecht, i 35mila euro per il software T9 per sms in friulano, o la proposta del presidente del Consiglio regionale Eduard Ballaman (leghista che non conosce il friulano) di sottotitolare il kolossal da dodici milioni di euro che Renzo Martinelli sta per realizzare sul beato Marco d’Aviano. Per compiere la trasformazione da lingua degli affetti a idioma da grande schermo, valorizzato e accudito da 4.102.000 euro di contributi (dato 2009) ci sono voluti gli sforzi congiunti di destra e di sinistra: la legge regionale del 1996 è targata Lega, ma è il centrosinistra a firmare il provvedimento nazionale del ’99 (governo D’Alema) e quello regionale con cui nel 2007 si impone un bilinguismo che la Corte Costituzionale ha bocciato pochi mesi fa. Al di là dei rovesci giuridici, si punta sparati alla promozione del friulano attraverso una serie di organi come l’Arlef, Agjenzie regjonâl pe lenghe furlane, l’Università di Udine, e la Filologica friulana.

    Un arsenale da blitzkrieg linguistica, che stenta però ad affermarsi sul campo: non è un caso che nelle vie friulanofone di Spilimbergo, in provincia di Pordenone, chiedendo dello sportello per traduzioni in “marilenghe” si ricevano solo risposte stupefatte: «Qui parliamo tutti italiano, di traduttori non abbiamo mai avuto bisogno». La tutela aumenta ma, secondo la provincia di Udine, «le ultime statistiche denunciano un calo preoccupante di locutori, soprattutto tra i giovani». E i paradossi si moltiplicano. La versione linguisticamente corretta del friulano - la cosiddetta koiné - è opera recente di un catalano, Xavier Lamuela; i corsi di friulano per dipendenti pubblici sono affollati di napoletani, calabresi o siciliani che difendono posti di lavoro a “rischio marilenghe”; tra gli oltre trentamila bambini che da settembre prenderanno lezione di friulano - scelto a Udine dal 64 per cento delle famiglie - non sono pochi i figli di marocchini, romeni, albanesi. «La conoscenza del friulano aiuta l’integrazione» garantisce Alessandra Burelli, responsabile del master “Insegnare in lingua friulana”.

    Ma i bambini qui parlano davvero furlan? Marisa Comelli insegnante elementare di Faedis, piccolo centro dell’udinese, risponde «non più del 30 per cento». Eppure tra i puristi è vietato parlare di conservazione: «Il friulano è una lingua del futuro» ci riprende Alessandra Montico, titolare di un corso universitario per giornalisti e operatori culturali. Intanto a Colloredo, vicino a Faedis, i maestri chiedono ai genitori di portare i fogli per le fotocopie perché non hanno i soldi per comperarli... Per capire come si sia lanciata nella contemporaneità una lingua rianimata dalle leggi, bisogna passare all’informatica dove link diventa leam (legame), back up copie di sigurecje, clicca qui fracait chi, e via traducendo con sprezzo del ridicolo perché in furlan esiste pure un correttore word, una versione del browser Mozilla, e addirittura vichipedie. Ma il forziere della koiné friulana resta il Grant dizionari bilengâl talian furlan, scaricabile dal web, pardon: dalla rêt, un’opera costata dieci anni di lavoro e oltre un milione di euro. «In troppi si sono inventati un mestiere sul friulano » commenta Piero Colussi, consigliere regionale che preferirebbe più inglese e meno koiné e ha presentato un’interpellanza sul Grant dizionari. Il riferimento di Colussi va anche a tutti quegli organi di informazione che si sono scoperti friulanofili pur di attingere ai contributi, per non parlare del fiorire di pubblicazioni, come la Costituzion de Repubbliche taliane, i Rusteghi di Carlo Goldoni improvvisamente diventati Ruspios, o Spietant Godò di Samuel Beckett, che in friulano suona più prosa comica che teatro dell’assurdo.

    Torniamo a scuola, perché, dopo i bambini, il friulano prova a conquistare anche i ragazzi. All’ufficio scolastico regionale ci indicano tre istituti di Udine dove «in marilenghe si fa lezione di filosofia, meccanica e matematica». Seguiamo il consiglio, consultiamo il sito del liceo scientifico Niccolò Copernico, clicchiamo sulle dispense di Eneide di Virgjili e il poeme epic e su quelle di Logjiche e intelligjence artificial. È un trionfo: da Virgilio a Blade Runner in friulano si può parlare (e insegnare) di tutto. Poi però sentiamo il preside Andrea Carletti che ci riporta con i piedi per terra: «Facciamo molte lezioni in lingua non italiana, ma quasi tutte in inglese. A quelle di friulano partecipa solo una ventina di ragazzi su 1.300». Torna lo scollamento tra burocrazia e realtà. Come all’istituto Stringher, dove secondo la preside Enrica Mazzuchin «il friulano va bene, ma con 1.700 allievi di 37 etnie diverse le priorità sono altre».

    Volevamo parlare di lingua locale, Mazzuchin ci presenta una classe di soli cinesi che in puro italiano si sono diplomati con medie tra il 90 e il 100. Perché nelle scuole di Udine l’eccellenza punta a nuovi mercati. Altro che piccola patria. Come all’istituto tecnico Malignani: «Abbiamo qualche ora di meccanica in marilenghe» spiega il preside Arturo Campanella. «Ma più che altro per eliminare i dialettismi dalle lezioni in italiano». Campanella parla in friulano, ma da uomo di scuola è interessato a tutt’altro: «Nella mia graduatoria c’è prima l’italiano, poi l’inglese, poi un’altra lingua straniera, poi un dialetto sconosciuto, poi pure il friulano». Emerge il disagio di chi vuole preparare professionisti che - magari con la Danieli di Buttrio - costruiranno acciaierie ad Abu Dhabi, e si ritrova costretto nel cantuccio di casa: «L’insistenza sul friulano è puro snobismo. Per me resta la parlata per la famiglia e gli amici».

    Almeno linguisticamente, il paese reale sembra avere più buon senso del paese legale. Mentre nelle scuole di Udine ci si sfila dalle polemiche su lingua e dialetto, nei palazzi della politica di Trieste c’è chi prepara la controffensiva giuliana all’incontinenza friulana. Perché di dialetti in Regione ce n’è più d’uno e Piero Camber, presidente della commissione cultura del Consiglio regionale, propone una legge che ne elenca ben nove, dal triestino al bisiaco al gradese al maranese, il muggesano, il liventino, l’istriano, il dalmata e il veneto goriziano- pordenonese-udinese. Tutti a reclamare protezione, e a spingere per diventare libri, spettacoli, ore di scuola, nella lunga marcia verso lo status di lingua vera e propria. L’impressione è che di dialetto in dialetto e di lingua in lingua qui si sia aperta una falla che porta dritto a Babele. È davvero il caso di spalancare i boccaporti anche in Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria?
     
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  2. Dailypain
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    UDINE. Il primo a scendere in campo è stato il settimanale l’Espresso, poi il sito internet del Corriere della Sera (anticipando un servizio che sarà in edicola domani), quindi la Rai: i soldi spesi in Friuli Venezia Giulia per la tutela della lingua friulana sono ben spesi? A leggere e a sentire quei servizi sembrerebbe di no. Secondo l’Espresso non si è fatta molta tutela, ma è diventato un modo per spendere nel settore cultura. Secondo il Corriere si rischia di cadere nel ridicolo con software T9 per sms in friulano o sottotitoli nei film.

    Pareri che hanno scatenato diverse reazioni in regione, anche se a mettere un po’ d’ordine ci ha pensato, per prima, ieri mattina Alessandra Guerra, alla trasmissione Rai Cominciamo bene Estate, condotta da Michele Mirabella e dedicata al problema sollevato dalla Lega Nord sulla tutela dei dialetti e delle lingue.

    «La legge di tutela della lingua friulana – perchè di lingua e non di dialetto si tratta, ha spiegato Guerra su Rai 3 – non è applicabile. La legge quadro approvata nel 1999 dal governatore Illy (con il voto della Lega) è stata respinta dal governo ed è bloccata in Corte Costituzionale. Oggi, dunque, a disposizione degli amministratori del Friuli Venezia Giulia c’è la sola legge 15 del ’96, quella approvata dall’allora presidente Cecotti (Guerra era assessore, ndr), ma si tratta di una norma sulla cultura».

    Chi invece sostiene che non si possa parlare di sprechi è lo stesso Sergio Cecotti: «Il rischio di spreco è molto piccolo perché le risorse sono infinitesime». Il professore che ha lasciato la politica, infatti, ci tiene a ricordare che «anche prendendo l’anno di massimo finanziamento, stiamo parlando di meno del 0,0003% del Pil». Ecco perché il suo giudizio sulla polemica sollevata in questi giorni è duro: «I politicanti che impiegano quote significative del loro tempo a prendersela con un presunto spreco dell’ordine del decimo di millesimo di punto percentuale vanno classificati nella categoria dei buffoni».

    Per quanto riguarda, invece, le varie parlate Cecotti sostiene che «la legge statale dovrebbe, come fa, tutelare le lingue storiche che l’apposito ufficio europeo per le lingue meno diffuse riconosce come distinte e meritevoli di tutela e che vengono essenzialmente richiamate negli atti dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa. Sono lingue – continua Cecotti – che l’Europa considera come proprie seppur non di uso ufficiale».

    Da qui la tesi: «Le altre parlate dovrebbero essere di esclusiva competenza regionale. Se una Regione – sottolinea Cecotti - ritiene che una parlata abbia, nel suo territorio, un rilievo sociale e storico, dovrebbe poter adottare, con propria legge, le norme di tutela che ritiene necessarie».

    William Cisilino presidente dell’Istituto Furlan «Pre checco Placereani»: «Quegli articoli parlano di 35 milioni di sprechi ma non si dice che quei 35 milioni sono la somma di 13 anni di investimenti: 2,5 milioni l’anno. Con questi soldi si finanziano le scuole e i corsi per quei 15 mila bambini che chiedono di studiare la nostra lingua; si finanziano trasmissioni sui media e le associazioni. Non sono troppi soldi, anzi sono pochi. Molto probabilmente sono attacchi mirati contro la Lega impegnata nella tutela di dialetti e lingue».
     
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1 replies since 4/9/2009, 04:21   92 views
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