Capitan Harlock (2014)
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Capitan Harlock (2014)

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    Capitan Harlock (2014)
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    La trama
    Nel 2977, dopo che una sanguinosa guerra intergalattica li ha esiliati dalla Terra per diversi anni, gli esseri umani ripongono ogni loro fiducia in capitan Harlock con l'auspicio di riappropriarsi del loro pianeta finito nelle mani della corrotta coalizione Gaia. Capitan Harlock e i membri dell'equipaggio dell'incrociatore Arcadia sperano di scoprire i segreti che la coalizione ha tenuto nascosti. La coalizione, invece, desidera uccidere Harlock e a tale scopo Ezra, nuovo leader delle milizie di Gaia, invita il fratello Logan ad infiltrarsi nell'Arcadia.

    Ispirato all'omonimo manga di Leiji Matsumoto, da cui è stata tratta anche una popolare serie animata, questo esordio al cinema in computer graphic e in 3D ci mostra un Harlock che si è fatto più nero che mai. Al punto che la sua figura è avvolta nelle ombre e divenuta puro mito: una maschera a metà tra Batman (addirittura usa il mantello per planare lasciandosi cadere da grande altezza) e V di V per Vendetta. La computer graphic si sposa bene alla stereoscopia donando fluidità al 3D e questa reinvenzione della saga punta tutto sull’epica e sullo spettacolo, ma non riesce a spiccare il volo appesantita da una sceneggiatura confusa e retorica. Piacerà forse ai più giovani, ma è difficile che la sua freddezza scaldi il cuore di chi ricorda il tormentato pirata disegnato da Leiji Matsumoto.


    CAPITAN HARLOCK: DA UN MANGA DI LEIJI MATSUMOTO
    Diretto da Shinji Aramaki e sceneggiato da Harutoshi Fukui e Kiyoto Takeuchi, Capitan Harlock riporta in voga, aggiornandolo con tecniche di animazione in CGI, l'eponimo personaggio dei fumetti di fantascienza creato da Leiji Matsumoto. Matsumoto, noto per essere l'autore dell'universo di Galaxy Express 999, in Capitan Harlock racconta la storia, ambientata in un futuro prossimo (dopo che la popolazione terrestre è stata costretta a lasciare il pianeta, divenuto una sorta di inaccessibile santuario), di un pirata spaziale che si ribella contro le forze governative e combatte per l'umanità insieme all'equipaggio a bordo dell'invincibile astronave Arcadia.
    Risalente al 1977, il manga di Matsumoto è stato trasformato l'anno successivo in una serie animata televisiva, riscuotendo successo in tutto il mondo (in Francia, ad esempio, divenne un fenomeno di costume, tanto che i fan trentenni e quarantenni si definivano "generazione Albator", in omaggio al nome "francesizzato" del capitano).


    NON UN REMAKE MA UN REBOOT
    L'idea di riportare in luce dopo più di trent'anni le avventure di Capitan Harlock non deve però far pensare che Capitan Harlock sia un remake del fumetto o della serie animata. I realizzatori preferiscono infatti considerare Capitan Harlock un reboot, che pur raccontando una storia del tutto originale mantiene lo spirito dei fumetti di Matsumoto. La modifica più rilevante apportata alla storia riguarda la figura di Capitan Harlock, che viene visto come un antieroe ribelle attraverso gli occhi di Logan, una giovane spia infiltratasi nell'Arcadia.
    Ricercato in tutta la galassia per i suoi crimini, Harlock è un talentuoso condottiero e un ammirevole leader che mai abbandonerebbe il suo equipaggio. Con questa premessa, Capitan Harlock dà una visione alquanto realistica della natura oscura e allo stesso tempo accattivante del protagonista. Nel tentativo di Capire chi si nasconde dietro Harlock (l'incarnazione di un distruttivo pirata o l'ultima speranza di sopravvivenza della Terra?), Logan si imbatterà nell'incredibile segreto del passato del capitano.


    I PERSONAGGI PRINCIPALI
    La storia di Capitan Harlock comincia dopo che si è combattuta una furiosa guerra tra la coalizione Gaia, un'entità governativa costituita per difendere la Terra, e l'umanità, che rivendicava il diritto di abitare il pianeta madre. Dopo aver difeso la Terra come soldato della coalizione, Harlock sembrava essere scomparso nel nulla a bordo dellla sua astronave Arcadia prima di ritornare in scena come pirata ribelle contro la stessa coalizione. Spesso accusato di tradimento, nessuno conosce veramente quale sia la sua volontà. Di Harlock si racconta poi che abbia più di un centinaio di anni ma in pochi conoscono quale è stato il suo percorso di vita.
    Durante il suo peregrinare ha visitato molti pianeti e a poco a poco ha costruito una squadra pronta a seguirlo ovunque. Quando il suo misterioso passato si scontrerà con il sogno di riportare la Terra al suo stato originale, Harlock dovrà confrontarsi con la lealtà del suo equipaggio.
    Logan, invece, riesce a salire sull'Arcadia come nuova recluta dell'equipaggio. In realtà, egli è stato inviato dalla coalizione Gaia con il compito di assassinare Harlock. Logan è tormentato dal senso di colpa per l'incidente occorso al fratello maggiore Ezra, il prefetto della coalizione, rimasto senza l'uso della gambe ad un'esplosione che ne anche ha ucciso la moglie Nami. Per espirare la sua colpa, Logan è disposto a compiere qualsiasi gesto chiesto dal fratello. Tuttavia, di fronte alla realtà dell'universo e alla verità sulla Terra, Logan sarà chiamato a scegliere tra la moralità dei desideri di Ezra e i propri contrastanti ideali.
    Non meno importanti dei protagonisti principali sono i membri dell'equipaggio dell'Arcadia: Mimay, che è l'ultima sopravvissuta della civiltà aliena dei Niflung, coloro che hanno sviluppato il genratore di energia oscura grazie al quale l'ingegnere Tochiro (progettista dell'Arcadia) ha salvato la razza umana prima di morire; Yulian, schietto e capriccioso membro "anziano" del gruppo, capace di divenire un esperto guerriero al di là del suo aspetto talvolta imbranato; Tori, lo strano uccello amico di Tochiro che si trova sempre sulla spalla di Harlock e che con il suo alto grado di intelligenza si dimostra spesso un valido aiutante; e Kei, giovane donna unitasi all'Arcadia dopo che Harlock le ha salvato la vita da bambina e a cui spetta il compito di fare da mentore a Logan.


    La recensione
    Un pirata tutto nero, cantava la mitica sigla del cartone animato in tv, e per questo esordio al cinema in computer graphic e in 3D Harlock si è fatto più nero che mai. Al punto che la sua figura è avvolta nelle ombre e divenuta puro mito: una maschera a metà tra Batman (addirittura usa il mantello per planare lasciandosi cadere da grande altezza) e V di V per Vendetta. «Un momento che si ripete diventa eterno», dirà più volte nel corso del film e questa è la chiave della pellicola, come se egli stesso potesse essere sostituito, perché più che un uomo è ormai un simbolo.
    Il vero protagonista è infatti un giovane molto somigliante a Harlock: Logan, fratello minore di Ezra, che si infiltra nell’equipaggio dell’Arcadia per uccidere il capitano. Harlock è rimasto il solo a battersi contro la Coalizione Gaia, un’oligarchia intergalattica che venera quel che resta della Terra, e Logan è combattuto tra il fascino del capitano e la lealtà al fratello, il tutto mentre l’Arcadia affronta flotte sempre più minacciose. La computer graphic si sposa bene alla stereoscopia donando fluidità al 3D e questa reinvenzione della saga punta tutto sull’epica e sullo spettacolo, ma non riesce a spiccare il volo appesantita da una sceneggiatura confusa e retorica. Piacerà forse ai più giovani, ma è difficile che la sua freddezza scaldi il cuore di chi ricorda il tormentato pirata disegnato da Leiji Matsumoto.


    L'opinione più votata
    Voto al film: voto buono
    Come potrebbe essere sintetizzato in poche parole il senso e le emozioni che suscita il Capitan Harlock portato adesso sul grande schermo con la regia di Shinji Aramaki?
    Sicuramente come uno spettacolare, ambizioso e riuscitissimo divertissement in immagini che sfrutta in modo molto suggestivo (e con ottimi risultati espositivi) le possibilità e i moduli espressivi offerti dalle tecnologie più avanzate del digitale. Il film è stato infatti realizzato in CGI, una modalità di straordinaria presa, che oltre ad esaltare la fluidità dei movimenti, rende quasi di carne le figure (il suo realismo iconografico è sorprendente) grazie anche a una inusuale profondità di campo dovuta all’utilizzo di un 3D (frutto del magistrale lavoro della Toei Animation) creativo e inappuntabile che non si limita più ad essere un semplice accessorio finalizzato a sorprendere lo spettatore, ma che diventa invece il fondamentale e necessario elemento di raccordo per riprodurre, rendere credibile e persino eccezionale (come se fosse interpretata da veri attori anziché disegnata), la visualizzazione aggiornata di un fumetto (e un cartone animato) davvero di culto per intere generazioni, come quello nato nel decennio dei ’70 dalla inesauribile fantasia creativa di Leiji Matsumoto. Un 3D – ribadisco - nitido e accuratissimo che amplifica il fascino avvolgente di un’avventura così avvincente (spero non solo per chi ha vissuto in diretta quella mitica “stagione” anche televisiva del passato) da non lasciare alcun momento di pausa né di allentamento emotivo. Non è assolutamente solo estetica però, ed è bene precisarlo subito a scanso di possibili equivoci (anche se il suo passaggio dall’ultima Mostra del cinema di Venezia, sia pure fuori concorso, è già di per sé un elemento che costituisce un importante riconoscimento “a priori” del suo valore intrinseco che non dovrebbe aver bisogno di ulteriori elementi chiarificatori in tale direzione). Il film (che si eleva anche figurativamente di molte spanne al di sopra di gran parte degli abituali standard del settore) si propone infatti anche e soprattutto come una labirintica e suggestiva riflessione sulla scansione del tempo e la sua inafferrabilità, un sottofondo narrativo questo, decisamente molto stimolante che supera la mera spettacolarizzazione della forma nel suo andare ben oltre i limiti e i confini del linguaggio più scarno (anche se altrettanto efficace) utilizzato dal fumetto e dalla serie (da cui deriva) fino a trasformarsi in un’opera che si interroga (ovviamente utilizzando la metafora della finzione) sulla fragilità dell’eroe e sul suo isolamento.

    “Il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà”: iniziava così la sigla della gloriosa serie storica trasmessa a suo tempo su Rai 2 che metteva in scena le gesta di un tenebroso anarchico spaziale come Harlock che a bordo della sua astronave pirata Arcadia cercava di mettere in salvo il mondo. Lo ricorderanno in molti, e si inteneriranno pure nel ricordare un eroe che è stato probabilmente il simbolo di quella che forse può essere catalogata come una delle ultime (se non proprio l’ultima) utopie umaniste del secolo appena trascorso.

    Qui comunque non ci troviamo certamente di fronte a una delle tante operazioni “nostalgia” così in voga in tempi come questi piuttosto privi di ispirazioni genuine che cercano di conseguenza di rimestare nel passato, anziché sforzarsi di provare a esplorare nuovi territori, perché intendono andare sul sicuro e sanno che così è più semplice (ri)creare un’empatia indotta con lo spettatore altrimenti molto più difficile (e incerta nel risultato) da stabilire.
    Il lavoro fatto da Aramaki a cui ha collaborato attivamente anche Matsumoto, è infatti una “rivisitazione” per più di un verso autonoma, che presenta molte variazioni rispetto all’originale (e che potrebbe per questo essere valutata persino da qualcuno come un discutibile tentativo per tentare di passare di mano il testimone). A mio modesto avviso però, se proprio di adesione a una moda si dovesse parlare, ci si potrebbe riferire (ma solo “grosso modo” e in senso lato) più che a quella dei reboot (dei quali ha solo qualche larvata caratteristica), a quella ben più evidente (ma altrettanto “incerta”), degli spin-off, poiché il leggendario Capitan Harlock è indubbiamente ancora il nome di cui si fregia il titolo della pellicola, ma questa volta è un personaggio molto più defilato, relegato in un ruolo abbastanza secondario, senza però che venga per questo sacrificato un solo briciolo della forza e del fascino di una figura che nonostante siano ormai intercorsi 35 anni dalla sua creazione, non ha certamente perso il suo carisma e il suo look anche se ormai è disilluso e ha smarrito molto dell’aura romantica della versione originale (Leiji Matsumoto).
    Questo suo essere stato spostato (apparentemente?) in secondo piano (pur restando centrale rispetto alle dinamiche del racconto), contribuisce semmai ad amplificare ulteriormente la sua forza attrattiva e l’alone di mistero che lo circonda da sempre, poiché non viene certo sminuita la sua dimensione di coraggioso paladino. Il suo farlo diventare una volta tanto subalterno, è dunque finalizzato soprattutto a far emergere altre figure che si sono invece “guadagnate” l’onore del primo piano, e che diventando il perno del racconto, assurgono al ruolo di veri e propri protagonisti (mi riferisco soprattutto al giovane Logan, infiltrato nell’Arcadia proprio con il compito di uccidere Harlock, ma anche a suo fratello Ezra, l’ufficiale disabile che è a capo della Costellazione Gaia che domina e tiranneggia la terra).
    Gli incalliti fans di una volta potrebbero proprio per questi cambiamenti sentirsi un poco traditi (e sarebbe un errore poiché c’è ancora il suo creatore Matsumoto a fare da garante, e lui sa perfettamente che non ammetterebbero assolutamente che qualcun altro soppiantasse davvero Harlock e pretendesse di prendere il suo posto). Si tratta dunque soltanto di un mutamento di prospettiva (un restyling?) per movimentare un racconto in cui il nostro mondo è ancora alla mercé di uno sfruttamento talmente selvaggio e incontrollato che potrebbe portarlo alla sua definitiva distruzione, e che di conseguenza, ha ancora un gran bisogno quasi disperato di quell’eroe salvifico temprato di coraggio e dedizione che lui incarna: Harlock per me rappresenta l’essenza dell’eroe. (sono le parole (e la garanzia) del regista, ben documentate dall’intervista fatta da Lorenza Negri pubblicata su Film Tv cartaceo n° 52, l’ultimo del corrente anno): Volevo riportarlo sugli schermi ma per farlo era necessario aggiornarlo. Per questo la storia è stasa modificata. In questa versione la mitica figura è stata trasformata in una creatura immortale – e quindi più leggenda che uomo – che (…)in questa mia lettura, trascende tempo e spazio, e che di conseguenza nemmeno la morte può toccare.

    Dunque Capitan Harlock è questa volta solo il deus ex machina dentro ad un racconto fantascientifico che potremmo definire di formazione (quella di Logan, appunto) che analizza e sfrutta il potere taumaturgico della memoria (e alla stesso tempo anche il controllo emotivo dei sentimenti sempre necessario) all’interno del quale il glorioso capitano combatte ancora il dominio intergalattico della coalizione Gaia continuando ad attacce e saccheggiare le navi nemiche.
    Il malvagio Ezra, l’ufficiale a capo della coalizione che domina la terra e comandante della flotta avversaria, intende neutralizzarlo definitivamente, e ordina per questo a Logan, suo fratello minore, di imbarcarsi sull’Arcadia per uccidere il capo della rivolta. Il giovane subisce però il fascino di quello che dovrebbe essere il suo nemico e a poco a poco finisce per comprendere le ragioni dei ribelli. Svela di conseguenza le trame sotterranee del fratello fatte di inganni e di bugie e abbraccia la causa di Arcadia, scatenando così l’ira di Ezra, che darà origine a un duello ferale e dall’esito imprevedibile.
    Romantica ed affascinante nella grandiosa spettacolarità della sua concezione che non è sicuramente inferiore a quella del più pompati blockbuster americani, la pellicola si conferma così come un’avventura filosofica e fortemente simbolica concentrata non soltanto sul peso morale della responsabilità dell’eroe, ma anche e soprattutto sulla indispensabile necessità della trasmissione e il passaggio di valori, principi e conoscenze da una generazione all’altra, un percorso iniziatico che finisce per incrociare nel suo emblematico sviluppo narrativo, culture differenti, ma fra loro complementari che riuniscono e compendiano leggende e racconto orali, il tutto riletto attraverso un’attenta analisi psicologica dei caratteri, qui molto ben delineati. Si procede insomma per associazione di idee nel parlare della forza catartica dell’immortalità e discernere sul percorso circolare che lega l’inizio alla fine di ogni cosa, e questo senza nemmeno utilizzare un pizzico di retorica, ma al contrario asciugando magistralmente sia la nostalgia che la commozione, oltre che la negatività perniciosa dell’eloquenza oratoria, sempre in agguato quando si tenta (come in questo caso) di coniugare le paure e le angosce del presente con le speranze rigeneratrici di un (im)possibile futuro: in questo, è ancora e sempre alla figura di un Harlock ossessionato da un’idea non solo di perfezione oltre che estetica anche utopistica, ma anche da una percezione della giustizia indubbiamente più teorica che pratica, che è affidato il compito di sintetizzare il legame indissolubile fra morte e rinascita.
    Nell’universo visionario del suo autore, in talea prospettiva è dunque proprio lo spazio che diventa il necessario (e giusto) punto di incontro di quei valori espressi attraverso un viaggio che sfiora la contiguità di mondi, epoche e tempi in movimento, nella costante ricerca di quegli indispensabili equilibri naturali di sopravvivenza che l’egoismo umano sta destabilizzando (il che conferma la complessità di fondo di questa operazione molto ben congegnata e persino un tantino prolissa, se proprio si intende ricercare il pelo dentro l’uovo).
    Il film è ricco di omaggi all’immaginario visivo di ciò che ormai è diventato storia e leggenda (non solo cinematograficamente parlando) che vanno dal fascino della ricerca dell’ignoto, esaltato dai romanzi di Julius Verne per arrivare all’inventiva “fantasiosità” digitale di Guerre stellari, passando però anche nei pressi di Star Trek e dei suoi leggendari esploratori (il tema del viaggio appunto, che ovviamente non è solo spaziale).
    Il regista, utilizzando anche le suggestioni derivate dalle variazioni cromatiche della pellicola che vanno dal blu al nero, sembra così voler privilegiare le atmosfere un po’noir fatte di dubbi e di incertezze (soprattutto nell’assumere decisioni sempre necessarie e spesso improrogabili), ed è bravissimo nel mettere a fuoco la doppiezza dei comportamenti e le contraddizioni insite proprio nell’esercizio punitivo della vendetta.
    Con l’obiettivo (pienamente raggiunto) di dilatare ogni sequenza al fine di rimarcare attraverso questa procedura la forza e gli insegnamenti del passato, Aramaki sceglie di conseguenza di corredare il tutto con dialoghi sinteticamente didascalici che lo aiutano molto bene a indagare e mettere a fuoco le tematiche che gli stanno più a cuore, che sono appunto quelle dello scambio d’identità, della capacità di comprendere ed accettare i propri limiti e della vocazione al sacrificio: su queste costruisce un apologo che mette in evidenza il bisogno “popolare” di legarsi ed appoggiarsi all’immagine dell’eroe, per sentirsi protetti e meno vulnerabili.
    La forma che si fa stile, ai frequenti primi piani ravvicinati e strettissimi, indispensabili per evidenziare e sottolineare le esitazioni e le perplessità dei protagonisti, alterna improvvise impennate e lunghe carrellate molto coinvolgenti: un altro valore aggiunto all’interno di un’opera così sanguignamente genuina, che sarebbe davvero un’eresia considerare un tradimento dell’originale, poiché ne rappresenta semmai una interessante amplificazione che ne ricalca e porta alle estreme conseguenze rendendolo addirittura più attuale, lo spirito libertario che non era solo appannaggio della serie di riferimento, ma ricorreva come tema costante anche in tutte le altre pellicole utopistiche e lisergiche che hanno costellato e reso irripetibile con i loro ideali di speranza, il decennio dei ’70 del secolo scorso. In più, il film attraverso alcune figure secondarie come quella della creatura senza bocca che proviene dal pianeta Yura, ripropone alle coscienze (ancora in forma mediata e metaforizzata) il problema dell’incubo nucleare e delle sue conseguenze, sempre fortemente presente nell’immaginario nipponico dopo Hiroshima e Nagasaki , ma che a seguito della tragedia di Fukushima è tornata purtroppo di grande attualità ed è una mina vagante tutt’altro che disinnescata. anche se colpevolmente se ne parla troppo poco perchè si preferisce minimizzare e far sembrare che tutto sia tornato quasi a posto.
     
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